È rappresentato un uomo in crisi ...
che sta vivendo la verifica, negli aspetti più entusiastici
e desolanti
Qualcosa da toccare
Una raccolta che non è ancora un'immagine dell'uomo ben definita, che non rappresenta ancora una novità di sentimento di vita, che è però frutto di una costante tensione a ciò. Un'antologia di momenti tenuti insieme solo dalla volontà di scrutare, di affrontare; una serie di sguardi alle cose, soprattutto all'uomo. Un rapporto ricostruito con gli altri, per conferirgli una dimensione vitale, estranea a falsi principi, a vuoti modelli di vita, a rassegnazioni, a condizionamenti. È rappresentato un uomo in crisi, che sta vivendo la verifica, negli aspetti più entusiastici e più desolanti.
muoversi in ess
IL BISOGNO DI COMUNICAREGli anni settanta passeranno sicuramente alla storia come gli anni in cui il bisogno di comunicare è stato profondo e terribile. Nessun altro periodo, dalla fine dell'ultima guerra in poi, è stato così ricco, intenso e caotico come quegli anni, Il '68 aveva chiuse tutte le porte possibili, dei desideri e dell'immaginazione; e dunque delle azioni, dei gesti, della parola, della scrittura. Non s'erano mai viste nascere tante radio, tanti giornali, tante riviste, tazebao, ciclostilati, tanti editori (magari piccoli e squattrinati, ma intelligenti, sensibili e pieni di idee) e dunque tanti libri, Non si erano viste altresì tante pluralità espressive: fotografia, mimica, laboratori teatrali, cinema, e tante forme istintuali di rappresentazioni visive: grafica, fumetti, caricature, murales, pittura d'ogni genere e stile, Sarebbe errato considerare questo bisogno di espressione collettiva come semplice necessità contingente, come pura difesa di ragioni politiche; questa parte di verità non deve far dimenticare l'altra insopprimibile esigenza di dar corpo alle ragioni del sentimento e delle emozioni; In quegli anni presero la penna gruppi significativi di individui, non necessariamente dediti al mestiere di scrittori anche se alcuni di essi, scrittori lo sono poi diventati. Il clima dell'immaginazione al potere produceva necessariamente il potere dell'immaginazione, dentro una spontaneità creativa la cui urgenza non poteva essere elusa. Un'analisi dettagliata (non ancora compiuta) sull'invenzione degli slogans di quegli anni, potrà dimostrare ampiamente quanto vado affermando. Per molti dei giovani di allora la pratica della scrittura non era uno strumento per decifrare la realtà, come per chi come noi del mestiere di scrittore l'aveva preso sul serio, facendone una questione di impegno militante. Né loro si ponevono il problema dello stile e della ricerca linguistica, preoccupazioni che hanno invece assillato una schiera di scrittori "veri" in quegli anni, e che in quel magma ribollente di socialità ha poi abbondantemente attinto per costruire alcune opere. Per loro ciò che era centrale nella scrittura era soprattutto se stessi, anche quando parlavano di temi collettivi. Raccontavano di sé, del loro universo; era un bisogno di guardarsi dentro e quando annotavano era la memoria a prevalere, la confessione diaristica: gli amori, i disagi, le speranze, la rivoluzione, la fuga. Non che essi non avessero uno stile ed un linguaggio, al contrario: c'è chi ha persino ironizzato su quello stile e su quel linguaggio; intendo dire che per loro la necessità era di esprimersi, di comunicare, non come o in che modo esprimersi. C'è un passo di questo libro di Aldo Stroppi che avvalora in pieno le mie affermazioni; "Non era certo nel mio temperamento, nei miei modi, di fare ricerca per la perfezione formale; ci tenevo a quello che scrivevo solo per ciò che vi volevo esprimere" (Lucia lll) La sottolineatura è mia. Tutta la lettura del libro di Stroppi (Qualcosa da toccare) - ce lo rivela.Il modo stesso di assemblare i materiali, di passare dalla poesia alla riflessione, dall'annotazione apertamente diaristica alla narrazione crudemente oggettiva e realistica. Molte di quelle confessioni o di quei versi rimanevono nei cassetti, e per chi li stendeva forse non aveva neppure importanza darli in pasto al pubblico; contava guardarsi dentro, scoprirsi e scoprire gli altri mediante la scrittura, la parola, che era in grado di offrire questa consapevolezza. Se passati al vaglio della critica questi materiali raramente si rivelano carichi di novità, tuttavia in questo "zibaldone" di Aldo Stroppi, che alla scrittura si è avvicinato precocemente, si avverte una buona capacità di creare impressioni coi versi, spesso ben amalgamati, e particolarmente efficaci soprattutto nelle chiusure. Più interessante e disinvolto mi pare nella prosa, per quel modo spedito di dare l'idea, e per quella descrittività a volte singultante: "Penso all'indomani, penso agli incontri, penso ai contatti inattesi, Mi perdo nel vuoto dei pensieri, nell'esile e debole castello dei miei sogni, come si perde la fiamma tra i sussulti nel buio della stanza." Ma si presti attenzione per esempio anche a questa serie di passaggi: "Si dirada una luce viva, che, man mano si allontana, si attenua si affioca. Ora trema, lancia sussurri di buio, minaccia la penombra, poi il buio. Lancia ombre, sottili linee nerastre, più scure, sulle pareti; si adagia nella tranquillità della sua veloce e naturale reazione chimica"; qui ci si accorge subito che una mano esperta tesse e annoda i filamenti di una trama. Questa consapevolezza si può cogliere anche nell'uso efficace di alcune similitudini: "Emana, irradia, riscalda, rischiara..." il cui accostamento coerente delle immagini riesce a rendere quasi reale e palpabile, tutta l'atmosfera ricreata dall'immaginazione e dalla luce. Sono soltanto alcune estrapolazioni, ma il lettore attento potrà trovare piste più agevoli per altre letture.Angelo GaccioneMilano, novembre 1986Vuoi leggere le prime pagine? 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